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Castelponzone

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Castelponzone è uno dei Borghi più belli d’Italia


Presentazione

Castelponzone – Una corda tesa tra la terra e il fiume

Lo spirito del luogo

Una corda tesa tra la terra e il fiume: potremmo definire così Castelponzone, antico borgo murato senza più mura, che sorge sonnacchioso nella placida campagna cremonese cercando di salvare la memoria del passato, quando fiorenti erano i commerci e numerosi i cordai. La filiera agricoltura-artigianato teneva insieme il lavoro della terra, le funi prodotte dalla canapa, le botteghe e i commerci. Il cuore di tutto erano sempre la campagna e il Po, che un tempo scorreva a soli due km dall’abitato. Sotto i portici cinquecenteschi e nelle viuzze ciottolate del borgo, ferveva la vita. I mattoni rossi messi a nudo nel crollo degli intonaci rivelano storie scrostate, episodi dimenticati. Qui c’era un castello. Spianate le mura e colmato il fossato, rimane un borgo che vuole rivivere, rimangono le case sparse e le corti agricole, tra verdi distese di campi e viottoli campestri.
Si viene qui per fare l’elogio della ruralità, della vita di campagna; si viene qui per la nostalgia dei filari d’alberi che delimitavano i campi, per la visione bassa di pianura: orizzonti aperti, cascine, odori di stalla, profumo di fiori e scorrere di acque.

Il nome

Il nome del Borgo deriva dall’antico “Castelletto dei Ponzone”, famiglia che lo resse in feudo fin dal 1416. Pare che le origini della stirpe risalgano addirittura al 964, quando durante il regno di Ottone I i suoi capitani si stanziarono nelle campagne cremonesi, costruendo delle fortezze, tra cui la Rocca di Castelponzone. Da questi soldati derivò anche la Famiglia Ponzone, come tante altre famiglie nobili cremonesi.

Un’oasi di pace nella campagna cremonese

Posto tra il Mantovano, il Cremonese e il Parmense, territori di fiorente agricoltura e ricchi di storia, il borgo di Castelponzone rappresenta un esempio – da imitare – di recupero della dimensione rurale. Costruzioni insipide e villette “geometrili”, disseminate nella Bassa, hanno alterato il volto delle nostre campagne, ridotte ad anonime periferie. A Castelponzone, invece, l’intreccio tra agricoltura e borgo è stato talmente condizionante in passato, da non poter essere rimosso. La piccola comunità di questa frazione di Scandolara Ravara non ha ceduto ad avventate espansioni urbanistiche e ristrutturazioni edilizie, ma si è concentrata sulla protezione dell’esistente.
Centro fortificato senza più fortificazioni, di sapore rinascimentale, Castelponzone ha rimesso a posto le facciate e ripristinata l’originaria pavimentazione in ciottolato negli “strettini”, i piccoli viottoli che l’attraversano. Chiuso al traffico per consentire al visitatore di cogliere i segni della sua storia, il borgo è delimitato dalla strada di circonvallazione che ricalca il tracciato delle antiche mura. La rocca, demolita a fine Ottocento, era circondata da un fossato, il cui tracciato è ancora visibile.
All’interno, la struttura urbanistica è caratterizzata da isolati regolari. Delle due porte di accesso rimane quella meridionale col passaggio carraio centrale, la postierla e tracce degli attacchi del ponte levatoio. I portici della via centrale risalgono alla fine del XVI secolo: sotto di essi si aprivano osterie, negozi e botteghe artigiane.
La chiesa parrocchiale, dedicata ai Santi Faustino e Giovita, è settecentesca e contiene una Santa Lucia del Genovesino (altri ritratti di questo pittore del Seicento sono nel Museo Ala-Ponzone di Cremona).
Un altro edificio storico è la residenza signorile settecentesca conosciuta come la Villa, con il suo porticato con architrave poggiante su colonne doriche e la struttura a U. Il resto sono abitazioni rurali che si allineano nei vicoli stretti e negli slarghi, spesso abbellite da balconi e finestre fiorite, immerse nella quiete della Bassa cremonese prossima al Po. Gli episodi architettonici e decorativi sono semplici ma preziosi: camini, portoni di accesso alle proprietà, modanature di edifici.
Esiste, in effetti, un immenso patrimonio rurale che va degradandosi senza rimedio, togliendoci l’immagine di un passato povero ma dignitoso: porticati, fienili, stalle voltate, barchesse, granai, colombaie, abbeveratoi, portali d’ingresso, dipinti murali, oratori campestri, e naturalmente le case padronali e le dimore dei braccianti. Questo mondo in via di sparizione lascia un’eco a Castelponzone, dove la fisionomia del territorio rispecchia ancora i segni delle opere di bonifica che hanno garantito terre all’agricoltura strappandole lentamente alle paludi. Nell’ambiente urbano vediamo molte cascine, in genere monofamiliari, con aia, fienile e stalla, tipiche del Casalasco. Altre cascine si trovano in campagna, dove un tempo c’erano i filari d’alberi a perimetro dei campi.
Ma la principale attrazione architettonica dobbiamo andarla a cercare nel capoluogo Scandolara Ravara, nel nucleo romanico o addirittura primitivo (si parla del IV sec. a. C.) in cui è sorta la Chiesa Vecchia, già nota intorno al 1100, al tempo dell’imperatore Federico II. Prima semplice cappella e poi pieve di una certa importanza, la chiesa – un’oasi di pace nella campagna – conserva opere pregevoli al suo interno, come un crocefisso ligneo del XII secolo e gli affreschi del Pampurino e di Giovanni da Piadena. All’esterno si fa apprezzare per la facciata in puro stile romanico lombardo. La torre, prima di funzionare come campanile, era posta a guardia della zona: rimasta intatta nella sua struttura originaria, è più antica dell’attuale chiesa, che risale alla seconda metà del Quattrocento. Approfittiamo della sosta a Scandolara per visitare nel centro abitato la parrocchiale secentesca di Santa Maria Assunta, con bella facciata neoclassica progettata dal Voghera.
Sul territorio comunale e nelle zone vicine sono presenti i “bodri”, piccole raccolte d’acqua ferma generate dal Po, nelle aree chiuse delle lanche, quando la piena del fiume si ritira: sono ambienti ricchi di flora e di fauna che interrompono il paesaggio piatto della pianura padana e sono tipici della campagna cremonese. Tutto parla del fiume in questi paesi e nelle loro campagne: la toponomastica di cascine e strade, le rogge, gli oratori, le baracche dei pescatori e le barche di legno.

Il simbolo

Un nodo di corda è il simbolo di Castelponzone: il lavoro dei cordai coinvolgeva un tempo intere famiglie, mentre oggi è quasi scomparso. Una tradizione che affonda le sue radici all’epoca dei Ponzone quando i Conti, che dominavano il feudo dal 1416, fecero arrivare direttamente dalla Toscana i cordai per insegnare il mestiere agli abitanti del luogo. Un’ arte che per secoli ha rappresentato la principale attività produttiva del paese: nei campi veniva seminata e raccolta la canapa che poi serviva a realizzare le corde attraverso un procedimento complesso che coinvolgeva adulti e bambini. Castelponzone fino a qualche decennio fa è stato centro rinomatissimo per la produzione di funi: in paese sono state realizzate corde che sono poi partite alla volta di Russia, Francia, Spagna, Germania. È in fase di realizzazione il Museo dei Cordai che cercherà di mettere in luce un lavoro destinato a morire.


Storia

Castelponzone, piccola perla del basso cremonese

Itinerario in un antichissimo borgo fortificato
di Paolo Zanoni (14/08/2006)

Bassa Cremonese – Per ritrovare i caratteri della ruralità lombarda, per cercare i segni della millenaria agricoltura delle Basse, intrisa di fatiche e di valori, non basta aggirarsi nelle vie e nelle piazze dei paesi capoluogo di comune. In essi, anche se di modeste dimensioni, per la persistenza delle istituzioni civili e religiose, per la concentrazione dei servizi e delle attività produttive essenziali, si è trasferita negli ultimi decenni gran parte della popolazione del territorio.
Ne sono conseguite espansioni urbanistiche e ristrutturazioni edilizie che ne hanno cambiato la fisionomia, in molti casi alterando e distruggendo fabbricati di cui spesso non si è compreso il significato e il pregio architettonico, quasi sempre legati alla civiltà contadina. Nello smarrimento generale, questo lascito di storia materiale e di sentimenti, lo si rintraccia facilmente nelle cascine e nelle piccole frazioni.
Sono le dimore dei braccianti e le case padronali, i porticati e i fienili, le stalle voltate sostenute da colonne in pietra e gli archi a tutto sesto in mattoni, le barchesse e i granai, le paserere e le colombaie, le pompe con i loro navelli e gli abbeveratoi, i portali d’ingresso con qualche pretesa artistica in segno di buona accoglienza, le santelle, le immagini sacre murali sbiadite e gli oratori campestri, che se va bene, si aprono una volta all’anno. E così via elencando, senza omettere di ricordare la varietà delle soluzioni e degli stili, la peculiarità di ogni caseggiato che lo rende unico e riconoscibile fra gli altri.
Si tratta di un patrimonio immenso mai catalogato, in gran parte abbandonato a se stesso, che si va deteriorando col passare del tempo, i cui messaggi svaniscono nella memoria collettiva col succedersi delle generazioni. Quante saggezza rivelano quei mattoni rossi, messi a nudo dal crollo degli intonaci! Quanta abilità spicciola e quanto gusto si nascondono nella ordinata disposizione di spazi e volumi!
Se il preesistente è così facilmente qualificabile, le costruzioni dell’ultima generazione sono anonime e del tutto insipide. Non hanno il tratto incantatore, non attirano l’attenzione, scorrono davanti agli occhi senza lasciare traccia. A ben studiarli, i fabbricati antichi, saprebbero ancora ispirare architetture e ambienti godibili; sia pure attualizzate le loro intuizioni concorrerebbero nel loro insieme a comporre paesaggi abitati in armonia con la natura.
Queste estemporanee riflessioni mi passano per la mente passeggiando nelle vie di Castelponzone, borgo di sapore rinascimentale, frazione del comune di Scandolara Ravara nel casalasco. A differenza di altri luoghi, qui il tessuto umano, pur lacerato, resiste tenacemente, segno di attaccamento alla propria terra, e si manifesta col progressivo recupero dei fabbricati, col restauro delle facciate, con la sistemazione dei selciati. Ci si è resi probabilmente conto che ne vale la pena, che ne guadagna la qualità della vita.
Castelponzone, antichissimo borgo fortificato che non dipendeva dal comune di Cremona, venne infeudato alla famiglia Ponzone nel 1416. Spianate le mura e colmato il fossato che lo circondavano, resta la strada di circonvallazione che ne ricalca il tracciato. All’interno la struttura urbanistica caratterizzata da isolati regolari. Delle due porte di accesso rimane quella meridionale col passaggio carraio centrale, la pusterla e tracce degli attacchi del ponte levatoio.
La settecentesca parrocchiale dedicata ai Santi Faustino e Giovita, contiene una Santa Lucia del Genovesino. Di notevole interesse ambientale la via centrale con i portici risalenti alla fine del XVI secolo, sotto i quali un tempo si aprivano osterie, negozi e botteghe artigiane. Un palazzo-cascina con un torrione merlato e un elegante porticato cinquecentesco, è quanto rimane del castello, trasformato in nobile dimora dagli Ala Ponzone.
La villa, conosciuta come Convento dei Serviti (anche se non ha mai conosciuto funzioni religiose), con il suo porticato architravato poggiante su colonne doriche e il suo impianto ad U, costituisce un buon esempio di residenza signorile settecentesca. Il resto sono abitazioni rurali che si allineano nei vicoli stretti e negli slarghi, spesso abbellite da balconi e finestre fiorite. Il tutto immerso nella quiete della Bassa cremonese prossima al Po.
Castelponzone andava famoso un tempo per la coltivazione della canapa, dalla quale i valenti artigiani locali traevano funi che venivano esportate anche Oltralpe. Il paese ha anche dato i natali ad Andrea Donelli, uno dei Mille garibaldini che hanno fatto l’Italia. Da sempre comune, Castelponzone perse la sua autonomia nel 1934 con l’aggregazione alla vicina Scandolara Ravara.
Parzialmente svuotato durante l’esodo dalle campagne, qui la storia non è cessata come in altre parti. Sorretti dall’amore per il proprio paese, i residenti hanno trovato tante ragioni per restare. Una scelta lungimirante vista in tempi di rivalutazione dei piccoli centri.
Era una domenica pomeriggio quando abbiamo curiosato nelle strade di Castelponzone; sotto i portici quattro donne anziane sedute intorno ad un tavolo giocavano tranquillamente a carte scambiandosi esperienze di vita; i bambini erano altrove a sfidarsi nel gioco del pallone; di uomini neppure l’ombra.

Notizie geografiche, storiche e socio-economiche su Castelponzone

Estratto della tesi della Prof.ssa Amedea Sozzi
pubblicato su “Mondo popolare in Lombardia – Cremona e il suo territorio”

Visualizza l’estratto della tesi


Cultura

La Banda

Il nostro paese è uno dei pochi, fortunati, ad avere una Banda che da tanti anni ci allieta ogni ricorrenza. Il corpo bandistico, infatti, nacque nel 1827 quando alcuni musicanti del paese si aggregarono ai componenti di una banda musicale militare, presente nel nostro borgo insieme alla propria guarnigione, per creare un unico gruppo musicale. Partirono i militari, ma rimase nei castellini la volontà di mantenere in vita la Banda che si è così tramandata fino ai nostri giorni.

Negli ultimi 50 anni la banda è stata diretta in ordine di tempo da Giovanni Baroni, Luigi Baroni, Livio Baroni, Fausto Mezzadri. Il maestro Andrea Vallari è alla testa del Corpo bandistico di Castelponzone da circa 17 anni, è entrato nelle file della banda suonando il sax contralto, dopo averlo studiato nei corsi musicali interni al gruppo.

I Cordai

Da “dritti” a proletari
di Glauco Sanga

A Castelponzone, nella bassa cremonese, non lontano dal Po, ci sono ancora quattro o cinque anziani cordai artigiani ultimi depositari di un mestiere cui si sono dedicate quasi per intero le ultime generazioni di castellini.
I cordai un tempo lavoravano la canapa mentre oggi lavorano fibre di recupero, i picàaì, fili di sisal usati per la levigatura dei covoni. Si rende ai contadini, in corda, il 20% del peso dei picàaì conferiti, il resto lo si rivende. È un lavoro destinato a morire perché oggi, nelle imballatrici, il sisal è sostituito da fibre di plastica, che non possono essere riutilizzate per far corda.
Un ristretto numero di cordai è esistito a Castelponzone anche in passato: compravano la canapa, facevano la corda e poi la vendevano direttamente a Cremona, Brescia, Parma, o nei grossi paesi agricoli(Casalmaggiore, Piadena), non sui mercati, ma a ferramenta, a droghieri, soprattutto a sellai, che poi provvedevano a rivenderla ai contadini delle campagne.
Fino alla seconda guerra mondiale a Castelponzone era un grosso centro di produzione della corda, fabbricata a domicilio da operai che lavoravano a cottimo.

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